Officina38

5 domande a Greg Ferro

Officina38 è una grande famiglia allargata di professionisti, che lavorano insieme per mettere al servizio di ogni progetto video, tecnica e creatività.   no dei registi con cui ci piace di più dividere il set è Greg Ferro: estro, carisma e voglia di sperimentare fanno di lui un collaboratore insostituibile. Sempre pronto a lanciarsi nel mezzo della scena con una camera a spalla, sostiene che il mondo sia più interessante visto dall’occhio della macchina da presa e viaggia a ritmo di musica: noi siamo riusciti a fermarlo solo per il tempo di pochissime domande.   Com’è iniziata la tua avventura da regista? In realtà la mia è una formazione musicale: ho studiato musica e suonato per una vita in tournée tra Italia ed estero. Suonando mi sono avvicinato e appassionato al mondo dei videoclip e così ho scelto di passare dall’altra parte della camera, iniziando a fare il regista. Oggi vivo tra l’Italia e Bangkok, la mia seconda base, con qualche puntata a Los Angeles. Raccontaci meglio il tuo lavoro e lo stile che ti contraddistingue. Lavoro principalmente nel settore pubblicitario, come creativo e come regista, firmando video sport, fashion e tabletop. Non so stare fermo: amo spaziare e sperimentare, perché credo che un regista debba essere in grado di fare tutto. Ho anche girato un mio film in collaborazione con Officina38, un road movie a metà tra Asia e gli States. Sul set amo girare con la camera in spalla… fosse per me utilizzerei solo questa tecnica lasciando stare carrelli, droni e tutto il resto della strumentazione. In questo modo riesco ad entrare meglio nella scena, a coglierne ogni aspetto, immergendomi davvero con tutto me stesso.   Missoni Fashion Film Qual è la dote essenziale per un regista? La leadership. Se non sei un leader, non puoi essere un regista. In pubblicità, più che in altri settori, è fondamentale perché devi rendere conto a molte persone dentro e fuori dal set. È compito del regista essere una guida, un riferimento… altrimenti diventa un dramma! Com’è lavorare con tutta la squadra sul set? Le uniche figure che cerco di non cambiare mai sono il direttore di fotografia e il montatore, perché anche sul set amo cambiare, sperimentare, conoscere persone nuove e imparare da ciascuno di loro. Credo che lavorare con collaboratori diversi ti aiuti a metterti in gioco, a non ripeterti, a creare ogni volta qualcosa di nuovo e diverso. Ho visto diversi lavori di registi che si affidano sempre allo stesso team, ma il risultato è molto simile e difficilmente bello come il primo. Sul set mi definisco un buffone: cerco di allentare lo stress per far lavorare tutti in un clima rilassato. Sono rigido, preciso e a volte perfino maniacale – sì, faccio impazzire i produttori! –  ma cerco anche di divertirmi e di far divertire gli altri. E lavorare con Officina38? Conosco Anna Frandino (la founder e producer) da tempo, condividiamo una bella amicizia e abbiamo visioni e idee molto simili sul mondo della produzione video. È molto competente e sceglie sempre bene i suoi collaboratori: l’ambiente di ogni lavoro fatto insieme è rilassato e professionale. Ci lasci un’ispirazione? Che cosa stai guardando in questi giorni? Da qualche giorno mi sono appassionato a “Love, Death & Robots” su Netflix. Ogni episodio è un cortometraggio, sempre di un regista diverso, che ti lascia una montagna di nuove idee e ispirazioni. Lo stile è quello del fantasy intellettuale e ho già almeno due pagine di appunti per ogni episodio: non potete perderlo!   Love, Death & Robots

Slow motion: cos’è e come si realizza

Come fa il cibo ad apparire così bello e invitante nei video? Come si realizzano quelle riprese dove lo yogurt vola, i frutti esplodono o il cioccolato danza in aria di fronte all’obiettivo?   e forme, i colori e le consistenze del cibo ispirano i creativi e forniscono numerosi spunti per la produzione di video accattivanti… ma realizzarli è decisamente un lavoro da esperti di video, che richiede competenze tecniche molto specifiche. La cinematografia ad alta velocità (slow-motion), è un mercato di nicchia in crescita,  estremamente tecnologico, che si focalizza sull’estetica e sulla qualità del prodotto.     Dettagli macro, effetti speciali, punti di vista mozzafiato.   Questa tecnica è tesa a massimizzare l’eleganza e la bellezza dell’oggetto protagonista, per una narrazione visiva potente e mozzafiato. La tecnica dello slow-motion funziona esponendo le immagini ad almeno 24 fotogrammi al secondo e riproducendole poi a velocità normale. In questo modo, i fotogrammi in eccesso riempiono gli spazi vuoti e le cose appaiono sullo schermo ad una velocità molto più lenta rispetto a quella a cui i nostri occhi sono abituati. Solo pochi anni fa la ‘high-speed cinematography’ veniva impiegata esclusivamente per produzioni su larga scala e ad alti budget: servivano videocamere, illuminazioni specializzate, attrezzature molto costose. Grazie alla videocamera RED, questa tecnologia è diventata davvero accessibile e ci ha regalato ben 120 fotogrammi al secondo per la RED One e addirittura 300 fps con la RED Epic. Altre videocamere specifiche per l’industria cinematografica e televisiva, come la Phantom, raggiungono oltre 10.000 fps.     Qui in Officina38 siamo da sempre innamorati della cinematografia ad alta velocità.   Per questo l’abbiamo utilizzata per raccontare Zhermack, gruppo internazionale che offre materiali e soluzioni all’avanguardia per il settore del benessere. La Phantom ci ha permesso di sfruttare 500 fotogrammi al secondo con i liquidi colorati immessi in acqua e di arrivare fino a 1.000 fps durante l’esplosione delle polveri colorate.     Abbiamo girato i video in un teatro di posa specializzato, fornito dell’adeguato parco illuminotecnico: per queste riprese serve una quantità di luce molto alta. I raggi sono così potenti che l’intera troupe sul set indossa occhiali da sole, per proteggere gli occhi nelle riprese più luminose. Sono state ore impegnative, di attenzione meticolosa al dettaglio, ma ci siamo divertiti come bambini al luna park, rimanendo a bocca aperta di fronte alle esplosioni di colore. Il risultato finale? Godetevelo qui sotto!  

Notte degli Oscar 2019

La notte degli Oscar è stato un evento che ha confermato molte aspettative, ma ne ha disattese molte altre.   no show senza presentatore, come già anticipato dalle polemiche dei mesi scorsi, che da un lato ha dato spazio a film audaci come La Favorita e Black Panther, ma dall’altro ha confermato la vittoria di film “più convenzionali” come Green Book. In totale sono 15 i film che hanno portato a casa le 24 statuette: Bohemian Rhapsody ha guidato il gruppo con quattro Oscar; Green Book, Roma e Black Panther ne hanno portati a casa tre. In Officina38 non abbiamo staccato gli occhi dallo schermo: ecco i vincitori, e gli sconfitti, della notte più importante di Hollywood. Premio per il miglior film: Green Book. È il genere di film che in passato sarebbe stato un ovvio vincitore del “Best Picture”: è una pellicola godibile, con due forti performance centrali e un lieto fine d’ispirazione. È partito un po’ in sordina al botteghino, ma è stato un successo immediato nel circuito dei festival, vincendo l’ambito premio Grolsch People’s Choice al Toronto International Film Festival – spesso indicatore di successo agli Oscar. Anche le recensioni sono state generalmente positive nei confronti di questa commedia, più apprezzato in Europa rispetto agli States. La storia è quella di un pianista nero che assume un autista italo-americano per farsi accompagnare in un tour attraverso i Deep South, nel 1962. La regia di Peter, il più giovane dei fratelli Farrelly, è in qualche modo una rivincita sul passato della loro filmografia, connotata da commedie pseudo demenziali (ricordate Scemo e più scemo?). La premiazione agli Oscar – uno per la sceneggiatura, uno per l’attore non protagonista a Mahershala Ali e uno alla fotografia –   include anche una vittoria per ‘Best Commedy o Musical’ ai Golden Globes di gennaio scorso. Commovente la dedica finale del produttore di Green Book, Charles Wessler, all’attrice Carrie Fisher, donna di grandissimo umorismo scomparsa l’anno scorso. Gli altri vincitori: da Bohemian Rhapsody a Roma. Se è vero che Green Book ha portato a casa il primo premio, nessuno degli altri titoli candidati a miglior film è andato a casa a mani vuote. Bohemian Rhapsody non ha vinto il Best Picture, ma ha comunque conquistato il maggior numero di Oscar in questa edizione, quattro in totale: miglior montaggio, miglior sonoro e miglior montaggio sonoro e soprattutto miglior attore protagonista, Rami Malek. Black Panther ha vinto i tre premi considerati più tecnici: costumi, scenografia e colonna sonora originale. Roma, di Alfonso Cuaròn, ha ricevuto gli Oscar per il miglior film in lingua straniera, oltre alla regia e alla fotografia, firmata sempre da Cuaròn. Una curiosità: per la quinta volta in sei edizioni, l’Oscar per la regia è stato assegnato ad un regista messicano. A consegnare il premio, Guillermo del Toro, carissimo amico di Cuaròn e vincitore della passata edizione. Gli altri quattro “nominees” hanno portato a casa un Oscar ciascuno. Il nome più quotato per il premio come miglior attrice era quello di Glenn Close, candidata per The Wife, ma ad aggiudicarsi la statuetta è stata invece Olivia Colman, per la sua convincente interpretazione ne La favorita  di Yorgos Lanthimos. Siamo sinceramente dispiaciuti per Glenn Close, che manca sempre il premio per un soffio, ma siamo assolutamente convinti che la Coleman abbia strameritato questo Oscar: il suo discorso è stato uno dei momenti più toccanti in una cerimonia tendenzialmente sottotono. Vice ha vinto per il trucco e le acconciature, con un Christian Bale che nel biopic su Dick Cheney è quasi irriconoscibile. Viso rotondo, capelli tinti, doppio mento: la trasformazione nel numero due di George W. Bush è pienamente riuscita. Certamente non è stata la serata perfetta per Spike Lee: il suo film BlacKkKlansman – che ha vinto il Grand Prix al Festival di Cannes lo scorso maggio – era candidato a miglior sceneggiatura non originale, miglior regista e miglior film. Tre nomination e solamente una statuetta: miglior sceneggiatura non originale,  il suo primo Oscar in carriera, festeggiato saltando in braccio al suo caro amico Samuel Jackson, che gliel’ha consegnato. L’umore di Spike Lee in questa edizione però non è stato dei migliori: davanti ai giornalisti ha bollato il premio di Green Book come “scelta sbagliata”, senza mezzi termini. Infine A Star Is Born ha conquistato la statuetta per la migliore canzone originale con “Shallow”, interpretata dalla bravissima Lady Gaga (primo Oscar anche per lei) e l’Oscar per la miglior attrice non protagonista è andato a Regina King, che ha recitato in Se la strada potesse parlare. Da Officina38 abbiamo applaudito nuovamente Roma, che abbiamo particolarmente amato, ma siamo andati a letto all’alba con l’amaro in bocca per La Favorita, che secondo noi meritava molto di più di una singola statuetta.

“Roma” di Cuaròn

“Roma” di Cuaròn: il film che ci ha conquistati ra i vari premi, un Leone d’Oro a Venezia e un Golden Globe alla miglior regia, secondo noi meritatissimi. E ora la corsa agli Oscar. Siamo stati incatenati da questo bianco e nero che colora con potenza personaggi, dinamiche familiari, luoghi e temi eterni come la città: temi privati eppure universali, quelli della nascita, della morte, della fede e del dolore. Il film è stato prodotto da Netflix, è uscito al cinema, e si può ora vedere sulla piattaforma. Se ci consentite una deformazione professionale, una cosa che ci è molto piaciuta è la scelta di Cuaròn di girare il film con una videocamera digitale ARRI, l’ALEXA 65, che ci ha fatto ricordare le atmosfere e la scarnezza visiva del cinema neorealista italiano, ma senza la presenza della grana della pellicola, perché, come ha detto il regista in diverse occasioni, il suo scopo era di guardare al passato, ma con i suoi occhi del presente. Il regista Cuaròn, ha firmato anche la direzione della fotografia, quindi il suo coinvolgimento sul film è stato totale, oltre al fatto che la storia stessa avesse fortissimi riferimenti autobiografici della sua infanzia passate nel quartiere Roma di Città del Messico. Una delle scene più difficili da girare, è stata sicuramente il piano sequenza finale del film: per questa scena è stato costruito un pontile che permettesse al technocrane di rimanere sempre alla stessa altezza rispetto agli attori, alla spiaggia e al mare. Il tempo utile di luce per girare questa scena era solo di mezz’ora, dalle 17.30 alle 18. Era stato previsto di poter fare 6 shots della scena, ridotte poi invece ad un’unica possibilità, a causa di una tempesta che aveva danneggiato il pontile, proprio il giorno prima delle riprese. La scena quindi ha dovuto essere “buona la prima“, riuscendo quindi ad avere un risultato molto soddisfacente sia dal punto di vista tecnico che attoriale. Insomma, questo film è un ottimo esempio di una grande regia, che ha saputo unire al meglio tutti gli aspetti tecnici a quelli creativi, messi a disposizione di una storia intima, ma estremamente espressiva.

53° Super Bowl

Ogni anno il Super Bowl è l’evento sportivo più seguito al mondo.   urante questo evento sportivo gli spazi pubblicitari sono ovviamente molto ambiti dai grandi brand, che arrivano a pagare milioni di dollari per 30″. Per questo motivo, realizzano campagne pubblicitarie ad hoc, creando così un’aspettativa anche nel pubblico: il Super Bowl è la giornata in cui non solo si tollera l’intervallo pubblicitario, ma è il momento in cui più si celebra l’industria pubblicitaria. Abbiamo ovviamente guardato tutti gli spot presentati, scegliendo il nostro preferito di quest’anno: lo spot della Birra Stella Artois. Il film ha come protagonisti i personaggi di Carrie Bradshaw, di Sex and the City, e di “The Dude“, del Grande Leboswki. Oltre al twist narrativo dello spot, quello che ci ha convinti, è la direzione che il brand ha voluto prendere: la celebrazione degli anni 90, attraverso uno spot “nostalgia” che va a parlare al target che negli anni 90 aveva 20-30 anni e che ora rappresenta il pubblico con il potere di acquisto più forte per il loro prodotto. I due personaggi iconici sono stati coinvolti per rafforzare anche il messaggio di impegno sociale, preso dal brand tramite la campagna “Pour it forward” destinata ad aumentare l’accesso all’acqua potabile nei Paesi in via di sviluppo. La campagna è promossa in partnership con Water.org. Lo spot è stato lanciato qualche giorno prima del Super Bowl da un tweet di Jeff Bridges, senza svelare che fosse uno spot, ragione per cui tutti i fan dello storico film si erano illusi in un sequel che continua ad essere richiesto dal pubblico, ma che neanche questa volta sembra essere in cantiere.     Questo spot ci è piaciuto perché oltre a far tornare sullo schermo due dei nostri personaggi preferiti di sempre che promuovono una delle nostre bevande preferite, la birra(!), ha anche un valore sociale: quando la pubblicità è divertente e utile!   Per guardare lo spot clicca qui: Enjoy!!