e scelte tecniche possono aiutare nella costruzione di una narrazione audiovisiva o hanno invece l’effetto contrario, intaccando il potenziale emotivo della storia? Si tratta di semplice tecnicismo o di un linguaggio specifico a servizio della narrazione?
Questa è la domanda a cui vorremmo rispondere in questo articolo, prendendo il film 1917 come caso studio principale. Vincitore di tre premi Oscar, due Golden Globes e sette premi BAFTA, 1917 è l’ultimo film di Sam Mendes, già regista di American Beauty, Revolutionary Road e degli ultimi due 007 (Skyfall e Spectre).
Sinopsi
6 aprile, 1917. I giovani caporali britannici William Schofield (George MacKay) e Tom Blake (Dean-Charles Chapman) ricevono l’ordine dal Generale Erinmore (Colin Firth) di attraversare le linee nemiche per raggiungere il Secondo Battaglione, composto da oltre 1600 commilitoni, ed informare il Colonnello Mackenzie (Benedict Cumberbatch) che l’attacco programmato contro l’armata tedesca, in realtà, è una trappola e va quindi evitato ad ogni costo.
La narrazione si dipana in un arco di tempo estremamente ridotto, nemmeno 24 ore, e si concentra in modo pressoché esclusivo sui Caporali Schofield e Blake, veri protagonisti della missione e del film. Quella dei due giovani si presenta quindi, sin dal principio, come una corsa contro il tempo per impedire una carneficina, nella quale rischia tra l’altro di essere coinvolto il Tenente Joseph Blake, fratello di Tom. Non a caso, durante i primi minuti del film, si percepiscono tanto la paura e la titubanza di William quanto la determinazione del compagno, deciso a portare a compimento la rischiosa missione per amore fraterno.
Tra i meriti del film vi è la scelta di rappresentare uno spaccato bellico spesso trascurato, unitamente alla grande attenzione per la partecipazione emotiva dello spettatore. Aspetto, quest’ultimo, che ha certamente messo tutti d’accordo: è infatti innegabile il potere di 1917 di farci tenere gli occhi incollati allo schermo, dall’inizio alla fine del film.
Ma com’è stato possibile rendere avvincente e vicina a noi spettatori una vicenda ambientata in un momento storico così distante temporalmente e materialmente, spesso ritenuto inadatto per essere trasposta efficacemente sul grande schermo? Che ci sia lo zampino della tecnica? 😉
Piano sequenza: un’ode alla tecnica
Come confermano alcuni dei riconoscimenti che il film ha ottenuto (Oscar per i Migliori effetti speciali visivi, per la Miglior fotografia e premio a Lee Smith per il Miglior montaggio ai Critics Choice Awards), uno dei meriti maggiori del film è costituito proprio dalla componente tecnica: il film si presenta infatti agli occhi dello spettatore come un unico piano sequenza.
In realtà, si tratta di una serie di piani sequenza diversi, e di differenti durate (il più lungo, di ben 8 minuti e mezzo), montati in maniera a tal punto impeccabile da non rendere percepibili i tagli.
Il piano sequenza è un’inquadratura particolarmente lunga, senza stacchi né interruzioni, che riprende nella sua interezza una scena (ossia un momento del film caratterizzato da unità di tempo e luogo) o una sequenza (cioè un momento narrativo unitario anche se diviso in più scene).
Nel corso degli ultimi anni il piano sequenza ha riacquistato discreta fama: dopo essere stato sperimentato da giganti del cinema come Alfred Hitchcock, Jean-Luc Godard, Michelangelo Antonioni, Ettore Scola, Stanley Kubrick, Brian De Palma e Martin Scorsese, acquista nuova popolarità nel 2014 grazie al film Birdman, del regista messicano Alejandro Gonzàlez Iñárritu e alla serie televisiva True Detective, dello stesso anno.
La scelta di realizzare un piano sequenza, improntato alla filosofia del “buona la prima”, comporta una serie di difficoltà non indifferenti per troupe, regista e attori. Questi ultimi, ad esempio, devono far tesoro di un tipo di recitazione di reminiscenza teatrale, basato su un’attenta memorizzazione di battute e movimenti di scena, poiché non è possibile ripetere la scena… a meno che non si desideri ricominciarla dal principio!
Evidentemente, però, non è la sola sfida che ci si ritrova a dover affrontare: infatti, l’intera troupe deve tenere il passo con gli attori, spostandosi velocemente per seguirli e garantire al contempo la qualità delle riprese.
Per 1917 la situazione è risultata particolarmente delicata perché, essendo quasi tutte le scene ambientate in esterni diurni, è stato necessario utilizzare la luce naturale, aspetto curato dal direttore della fotografia premio Oscar Roger Deakins.
Nella pratica, questo ha significato anche sfruttare con prontezza il passaggio di una nuvola che oscurava il sole, al fine di rendere sufficientemente “grigia” la scena, come da sceneggiatura. Inoltre, anche grazie a cineprese più leggere e meno ingombranti, gli operatori potevano con relativa facilità passare dalla steadycam alla camera a mano per poi attaccare la cinepresa su un cavo per delle riprese aeree prima di riprenderla e proseguire su un furgone. Un lavoro che ha richiesto una vera e propria coreografia tra operatori, attori e scenografi, che dovevano gestire lo spazio in modo pressoché impeccabile.
Inoltre, il lavoro richiesto a monte, al fine di essere preparati una volta sul set, è mastodontico; nello specifico, per 1917, la sceneggiatura è stata scritta da Mendes e Wilson Cairns con non poche restrizioni e lo scenografo Dennis Gassner ha dovuto pensare a tutto, servendosi anche di modellini dettagliati di ogni luogo, poi ricreati in versioni a grandezza naturale.
Solo in questo modo, infatti, è stato possibile costruire gli spazi in modo realistico, prevedendo ogni minimo dettaglio. Intanto, Mendes e altri della squadra passeggiavano tra i campi con la sceneggiatura in mano per studiare i percorsi che avrebbero fatto gli attori sul set, piantando qua e là bandierine (gialle e verdi per i due personaggi, rosse per la cinepresa) così da tenere traccia dei movimenti.
Oltre a tutto ciò, è stato necessario procurarsi anche gli ordigni bellici e pianificare le (vere!) esplosioni, quelle che rendono dinamica la parte finale della pellicola. Questo, evidentemente, è stato un ulteriore incentivo per calcolare tutto con millimetrica precisione: infatti, non è certo conveniente far esplodere a vuoto una bomba o una granata. Inoltre, si deve garantire la sicurezza di tutti coloro che sono coinvolti nella scena, oltre che un adeguato sfruttamento scenografico delle esplosioni.
Il piano sequenza, però, al di là delle difficoltà e della precisione richieste sul piano tecnico, garantisce coinvolgimento su quello emotivo. Infatti, il potere di questo escamotage è quello di creare continuità dal punto di vista temporale, dando l’illusione allo spettatore che gli avvenimenti si svolgano qui ed ora. Ciò, evidentemente, aiuta nel processo di immedesimazione e partecipazione emotiva: in 1917 prendiamo parte anche noi a questa corsa contro il tempo, siamo al fianco dei due protagonisti nel momento in cui strisciano tra fango, macerie e sterpaglie, respiriamo la loro tensione di fronte a spari ed esplosioni e ci sentiamo loro invisibili compagni di (dis-) avventure.
Sam Mendes riesce a rendere unica una storia che, per quanto nobile, non è certo inedita ed originale; il regista, quindi, fa prevalere il “come” sul “cosa”, raccontando la storia dei due giovani caporali con uno stile fuori dal comune, sfruttando in modo originale e intelligente gli strumenti che la tecnica (cinematografica) mette a disposizione. Per chi volesse approfondire l’argomento, ecco un interessante video dedicato agli aspetti tecnici del film.
Quindi, tornando alla domanda che ci siamo posti all’inizio del nostro articolo, pensiamo di poter affermare con discreta sicurezza che il pluripremiato film sia un perfetto esempio di cooperazione tra contenuto e scelte tecnico-stilistiche.
Ma, ora, ecco il colpo di scena finale… in perfetto stile cinematografico! Se pensate infatti che le scelte tecniche possano valorizzare esclusivamente un film, allora significa che dovete ancora vedere i nostri Works! 😉
In particolare, pensando alle esplosioni, non possiamo non fare riferimento al Commercial da noi realizzato per Zhermack, gruppo internazionale che offre materiali e soluzioni all’avanguardia per il settore dentale e del benessere. Il video per Zhermack si caratterizza per delle esplosioni di polveri colorate (si tratta di polveri alginate usate nel settore odontoiatrico). A prima vista, specie ad occhi inesperti, le esplosioni possono sembrar realizzate in post-produzione ma, di fatto, si tratta di esplosioni reali, avvenute sul set. Così come “reali” sono anche le esplosioni di 1917. Per quanto tematicamente distanti tra loro, film e Commercial utilizzano entrambi la tecnica a fini contenutistico-espressivi; infatti, anche per il video Zhermack si è scelto di investire sulla valorizzazione del “come” per arrivare a parlare del “cosa”.
La tecnica, cioè, si è messa al servizio del contenuto, valorizzandolo… E non solo per quanto riguarda le esplosioni! Un’altra tecnica che si è rivelata fondamentale per questo video è stata quella dello Slow Motion. Grazie alla videocamera RED, lo Slow Motion è diventato davvero accessibile, regalandoci ben 120 fotogrammi al secondo per la RED One e addirittura 300 fps con la RED Epic. Altre videocamere specifiche per l’industria cinematografica e televisiva, come la Phantom, raggiungono oltre 10.000 fps. Per questo è stata utilizzata per raccontare Zhermack: la Phantom ha permesso di sfruttare 500 fotogrammi al secondo con i liquidi colorati immessi in acqua e di arrivare fino a 1.000 fps durante l’esplosione delle polveri colorate.
Tutto questo per dire quanto le competenze tecniche di professionisti e tecnici del settore, molte volte, si rivelano letteralmente fondamentali per arricchire di contenuti una storia, tanto al cinema… quanto sul web o qualsiasi altro canale!
Quindi, se avete bisogno di un video professionale che sappia sfruttare tutto il potenziale della tecnica per metterlo al servizio della vostra storia… non esitate a contattare Officina38! 😉