Officina38

Location management: anche i luoghi raccontano storie

Quale location scegliere tra le strade di una grande metropoli, una piscina olimpionica, il bar che sembra uscito dagli anni ’50 o il deserto sconfinato? rasformare un obiettivo di marketing in una storia affascinante è quello che sappiamo fare meglio, ma tutto deve essere ambientato nel luogo giusto: le storie vivono in simbiosi con il luogo in cui vengono raccontate, che deve saperle contenere ed amplificare allo stesso tempo. Che ne sarebbe del “Gran Budapest Hotel” se Wes Anderson non avesse avuto in mente il posto perfetto? Lo stile grottesco ed originale del film è merito anche della location, protagonista assoluta del racconto. Per ricrearla, il team di produzione ha visitato numerosi hotel davvero esistenti e  l’idea degli interni è arrivata dal grande magazzino tedesco Görlitzer. Professione: location manager. Il location manager è la figura professionale che si occupa della ricerca del luogo perfetto per poter raccontare una storia, un professionista “dallo sguardo aperto”, che riesce a scovare o ricreare il posto perfetto per ambientare ogni situazione. Lo scouting è la fase preliminare del lavoro e consiste nella ricerca fisica di strade, palazzi storici, case private, angoli della città che vengono minuziosamente catalogati: il  bravo location manager è quello che fotografa e poi annota nel suo personale archivio nomi, indirizzi e caratteristiche di ogni posto, ma – soprattutto – sa guardare il luogo in cui si trova in tutte le sue sfumature, immaginando già che tipo di situazione potrebbe contenere. Una città come Torino, dove si gira davvero tantissimo tra film e serie tv, se “vestita” nel modo giusto può diventare l’Argentina oppure trasformarsi immediatamente in Parigi. Tutto quello che manca per rendere la location davvero perfetta viene costruito ad hoc: in “Profondo Rosso” Dario Argento pensava ad un bar dalla forma uguale a quello visto in un quadro di Edward Hopper, che fu ricostruito esattamente uguale in Piazza CLN.   Quando si lavora ad una nuova produzione, il location manager per prima cosa legge la sceneggiatura, esattamente come se fosse un libro, per riuscire ad entrare dritto nello sguardo del regista e visualizzare gli ambienti adatti ad ogni scena: in questa fase del lavoro è lo scenografo il grande interlocutore del location manager, colui che dà l’impianto artistico e visivo della sceneggiatura. L’obiettivo comune è quello di compilare una lista di luoghi a partire dall’archivio personale del location manager, che fa una serie di proposte sulla base delle richieste della produzione fino a che… si fanno – letteralmente –  i conti con la realtà. Bello, ma… quanto mi costa? La location perfetta è quella che mette d’accordo le ambizioni artistiche del regista con le esigenze pratiche, i tempi e i budget della produzione. Oltre alla parte artistica è necessario tenere in considerazione tutti gli aspetti pratici e burocratici: il location manager si occupa anche della parte contrattuale e finanziaria. Coordinare le giornate di produzione, far rispettare il contratto e gli orari pattuiti, gestire le autorizzazioni rilasciate dagli enti pubblici sono tutti compiti che il location manager svolge prima e durante la fase di riprese. C’è bisogno di inscenare un incendio o un tamponamento? Occorre avvisare i vigili del fuoco e la polizia. Dobbiamo girare in una strada in centro città in pieno sole ma domani pioverà a dirotto? Serve pensare subito ad una alternativa. Per tutto il tempo delle riprese, il location manager rappresenta il punto di contatto tra la proprietà, l’amministrazione locale, la produzione e il suo lavoro continua anche dopo l’ultimo ciak: lo spazio deve essere lasciato esattamente come lo si è trovato, per poter tornare se stesso e accogliere una nuova storia. Abbiamo il luogo perfetto anche per il tuo prossimo video Qui in Officina38 siamo tutti dei grandi viaggiatori e ci portiamo stretti negli occhi i posti che abbiamo visitato e quelli dove abbiamo girato le scene più belle, scelte in collaborazione con i nostri location manager di fiducia: quella volta che abbiamo realizzato la promozione degli sport estivi del comprensorio di Cervinia, quando siamo volati a Bangkok a raccontare storie di persone, di sport, di passione per Adidas oppure quando intorno a noi avevamo solo il deserto del Mojave, California, che con eleganza e silenzio si intonava perfettamente alla Maison Missoni. Che ambientazione immagini per il tuo prossimo video? Dove si trova il tuo cliente ideale o dove vorrebbe essere grazie al tuo prodotto? Raccontacelo e noi lo trasformiamo in realtà.   Collaboriamo da anni con persone e brand coraggiosi. Sarebbe bello creare qualcosa anche con te! Inviaci una mail a info@officina38.com o vieni a trovarci per un caffè in via Saluzzo 45/G a Torino.

Notte degli Oscar 2019

La notte degli Oscar è stato un evento che ha confermato molte aspettative, ma ne ha disattese molte altre.   no show senza presentatore, come già anticipato dalle polemiche dei mesi scorsi, che da un lato ha dato spazio a film audaci come La Favorita e Black Panther, ma dall’altro ha confermato la vittoria di film “più convenzionali” come Green Book. In totale sono 15 i film che hanno portato a casa le 24 statuette: Bohemian Rhapsody ha guidato il gruppo con quattro Oscar; Green Book, Roma e Black Panther ne hanno portati a casa tre. In Officina38 non abbiamo staccato gli occhi dallo schermo: ecco i vincitori, e gli sconfitti, della notte più importante di Hollywood. Premio per il miglior film: Green Book. È il genere di film che in passato sarebbe stato un ovvio vincitore del “Best Picture”: è una pellicola godibile, con due forti performance centrali e un lieto fine d’ispirazione. È partito un po’ in sordina al botteghino, ma è stato un successo immediato nel circuito dei festival, vincendo l’ambito premio Grolsch People’s Choice al Toronto International Film Festival – spesso indicatore di successo agli Oscar. Anche le recensioni sono state generalmente positive nei confronti di questa commedia, più apprezzato in Europa rispetto agli States. La storia è quella di un pianista nero che assume un autista italo-americano per farsi accompagnare in un tour attraverso i Deep South, nel 1962. La regia di Peter, il più giovane dei fratelli Farrelly, è in qualche modo una rivincita sul passato della loro filmografia, connotata da commedie pseudo demenziali (ricordate Scemo e più scemo?). La premiazione agli Oscar – uno per la sceneggiatura, uno per l’attore non protagonista a Mahershala Ali e uno alla fotografia –   include anche una vittoria per ‘Best Commedy o Musical’ ai Golden Globes di gennaio scorso. Commovente la dedica finale del produttore di Green Book, Charles Wessler, all’attrice Carrie Fisher, donna di grandissimo umorismo scomparsa l’anno scorso. Gli altri vincitori: da Bohemian Rhapsody a Roma. Se è vero che Green Book ha portato a casa il primo premio, nessuno degli altri titoli candidati a miglior film è andato a casa a mani vuote. Bohemian Rhapsody non ha vinto il Best Picture, ma ha comunque conquistato il maggior numero di Oscar in questa edizione, quattro in totale: miglior montaggio, miglior sonoro e miglior montaggio sonoro e soprattutto miglior attore protagonista, Rami Malek. Black Panther ha vinto i tre premi considerati più tecnici: costumi, scenografia e colonna sonora originale. Roma, di Alfonso Cuaròn, ha ricevuto gli Oscar per il miglior film in lingua straniera, oltre alla regia e alla fotografia, firmata sempre da Cuaròn. Una curiosità: per la quinta volta in sei edizioni, l’Oscar per la regia è stato assegnato ad un regista messicano. A consegnare il premio, Guillermo del Toro, carissimo amico di Cuaròn e vincitore della passata edizione. Gli altri quattro “nominees” hanno portato a casa un Oscar ciascuno. Il nome più quotato per il premio come miglior attrice era quello di Glenn Close, candidata per The Wife, ma ad aggiudicarsi la statuetta è stata invece Olivia Colman, per la sua convincente interpretazione ne La favorita  di Yorgos Lanthimos. Siamo sinceramente dispiaciuti per Glenn Close, che manca sempre il premio per un soffio, ma siamo assolutamente convinti che la Coleman abbia strameritato questo Oscar: il suo discorso è stato uno dei momenti più toccanti in una cerimonia tendenzialmente sottotono. Vice ha vinto per il trucco e le acconciature, con un Christian Bale che nel biopic su Dick Cheney è quasi irriconoscibile. Viso rotondo, capelli tinti, doppio mento: la trasformazione nel numero due di George W. Bush è pienamente riuscita. Certamente non è stata la serata perfetta per Spike Lee: il suo film BlacKkKlansman – che ha vinto il Grand Prix al Festival di Cannes lo scorso maggio – era candidato a miglior sceneggiatura non originale, miglior regista e miglior film. Tre nomination e solamente una statuetta: miglior sceneggiatura non originale,  il suo primo Oscar in carriera, festeggiato saltando in braccio al suo caro amico Samuel Jackson, che gliel’ha consegnato. L’umore di Spike Lee in questa edizione però non è stato dei migliori: davanti ai giornalisti ha bollato il premio di Green Book come “scelta sbagliata”, senza mezzi termini. Infine A Star Is Born ha conquistato la statuetta per la migliore canzone originale con “Shallow”, interpretata dalla bravissima Lady Gaga (primo Oscar anche per lei) e l’Oscar per la miglior attrice non protagonista è andato a Regina King, che ha recitato in Se la strada potesse parlare. Da Officina38 abbiamo applaudito nuovamente Roma, che abbiamo particolarmente amato, ma siamo andati a letto all’alba con l’amaro in bocca per La Favorita, che secondo noi meritava molto di più di una singola statuetta.

“Roma” di Cuaròn

“Roma” di Cuaròn: il film che ci ha conquistati ra i vari premi, un Leone d’Oro a Venezia e un Golden Globe alla miglior regia, secondo noi meritatissimi. E ora la corsa agli Oscar. Siamo stati incatenati da questo bianco e nero che colora con potenza personaggi, dinamiche familiari, luoghi e temi eterni come la città: temi privati eppure universali, quelli della nascita, della morte, della fede e del dolore. Il film è stato prodotto da Netflix, è uscito al cinema, e si può ora vedere sulla piattaforma. Se ci consentite una deformazione professionale, una cosa che ci è molto piaciuta è la scelta di Cuaròn di girare il film con una videocamera digitale ARRI, l’ALEXA 65, che ci ha fatto ricordare le atmosfere e la scarnezza visiva del cinema neorealista italiano, ma senza la presenza della grana della pellicola, perché, come ha detto il regista in diverse occasioni, il suo scopo era di guardare al passato, ma con i suoi occhi del presente. Il regista Cuaròn, ha firmato anche la direzione della fotografia, quindi il suo coinvolgimento sul film è stato totale, oltre al fatto che la storia stessa avesse fortissimi riferimenti autobiografici della sua infanzia passate nel quartiere Roma di Città del Messico. Una delle scene più difficili da girare, è stata sicuramente il piano sequenza finale del film: per questa scena è stato costruito un pontile che permettesse al technocrane di rimanere sempre alla stessa altezza rispetto agli attori, alla spiaggia e al mare. Il tempo utile di luce per girare questa scena era solo di mezz’ora, dalle 17.30 alle 18. Era stato previsto di poter fare 6 shots della scena, ridotte poi invece ad un’unica possibilità, a causa di una tempesta che aveva danneggiato il pontile, proprio il giorno prima delle riprese. La scena quindi ha dovuto essere “buona la prima“, riuscendo quindi ad avere un risultato molto soddisfacente sia dal punto di vista tecnico che attoriale. Insomma, questo film è un ottimo esempio di una grande regia, che ha saputo unire al meglio tutti gli aspetti tecnici a quelli creativi, messi a disposizione di una storia intima, ma estremamente espressiva.