uanto è necessario per le aziende di oggi operare una trasformazione digitale?
La diffusione del digitale, affermatasi a partire dagli anni Duemila, sta costringendo via via tutte le aziende a rinnovarsi e adeguarsi al cambiamento.
Ma cosa vuol dire digitalizzarsi? E, soprattutto, basta trasformare la carta in file word e integrare nuove tecnologie al proprio lavoro per dirsi tali?
Si tratta, infatti, di un processo che cambia da azienda ad azienda ma che è ormai indispensabile: da un lato bisogna essere al passo con i tempi per restare competitivi sul mercato, dall’altro gli utenti/consumatori sono sempre più informati ed esigenti.
Non tutte le aziende, però, riescono in questa impresa. A volte è difficile rinunciare al caro vecchio analogico, al profumo della carta o alla magia di vinili e cassette. Emblematico è il caso di Kodak.
Per decenni leader mondiale nel mercato fotografico, l’azienda nel 2012 è stata costretta ad abbandonare la sua principale produzione a causa di uno sfiorato fallimento. Ma com’è possibile che un’azienda di tale calibro commerciale e storico abbia vissuto questo declino? La risposta sta nel rifiuto all’innovazione.
Temendo di perdere il primato nel mercato fotografico – in quanto maggiore produttrice di pellicole e macchine fotografiche analogiche – ha rifiutato la digitalizzazione decretando la fine della propria leadership.
Sarebbe stato un cambiamento così drastico e innaturale?
Assolutamente no, soprattutto se pensiamo a come l’analogico stia lentamente tornando di moda sull’onda del Vintage Marketing Nostalgico.
Vale ricordare, inoltre, che è proprio in grembo a questa azienda che è nato il primo esemplare di macchina fotografica digitale. Brevettata nel 1973 da Steven Sasson, non uscì dalle mura dell’azienda perchè – a detta dei piani alti – nessuno avrebbe voluto guardare i propri scatti su uno schermo.
Una frase simile disse John Antioco, CEO di Blockbuster, al co-fondatore di Netflix Reed Hastings. A suo parere quello di Netflix sarebbe stato un settore senza futuro. Erano i primi anni ‘Duemila e la catena di videonoleggio più grande del mondo iniziava il lento declino che la portò al fallimento nel 2013.
Quella dei Blockbuster è una catena diventata iconica e passata ormai alla storia. Eppure, l’amore per l’analogico non era un movente abbastanza solido da permettere a questo impero di restare a galla. Il mercato, infatti, si è velocemente spostato dal noleggio offline allo streaming online.
È così che Netflix è entrato velocemente nelle nostre case e, altrettanto velocemente, nei nostri cuori, inaugurando una nuova era di fruizione dell’audiovisivo.
Si stava meglio prima? Quando c’era più romanticismo e meno “take away”? Sarebbe quasi impossibile dare una risposta.
Il digitale ha letteralmente trasformato il nostro stile di vita.
Ed è qui che la versatilità diventa una skill determinante per i brand e le aziende.
Un brand che è sempre riuscito ad adeguarsi velocemente alle novità senza mai perdere il posto d’onore nei cuori dei consumatori, per esempio, è Lego.
Leader nel mercato dei giochi per bambini e del collezionismo, è sempre stata in grado di rinnovarsi e di rimediare ai propri errori evitando il fallimento, anche nei periodi più bui.
Certo, si tratta di un gioco universale che – speriamo – non tramonterà mai. Ma persino Lego ha vissuto e vive tutt’ora momenti di crisi. Basti pensare ad una realtà ormai estesamente diffusa: i bambini, sin da piccoli, sono attratti molto più dai giochi digitali che da quelli analogici.
La soluzione? Reinventarsi!
Lego ha espanso il proprio mercato rendendolo transmediale: si è adattata sempre di più alle abitudini digitali dei consumatori senza distogliere l’attenzione dal core product: i mattoncini colorati. Ecco quindi che sono nati giochi per Playstation, Nintendo Wii e XBox, film e persino un canale YouTube.
Senza contare l’attenzione che Lego sta rivolgendo a temi sociali come la crisi climatica. Trattandosi di un prodotto che fa largo – se non esclusivo – uso di plastica, sta lentamente convertendo la produzione e promette, entro il 2030, di mettere in commercio solo pezzi fatti di plastica riciclata.
Si tratta di una serie di strategie che non tutti sono riusciti a mettere in atto. Un esempio? La catena americana di giochi per bambini Toys “R” Us, che negli stessi Stati Uniti è crollata nel 2017 sotto il peso della digitalizzazione e dell’e-commerce.
Una grande spinta alla rivoluzione dell’e-commerce l’ha data, in questo senso, Amazon che ha modificato drasticamente le abitudini di acquisto e, quindi, il mercato stesso.
Quanti di noi preferiscono fare shopping dallo schermo del computer, piuttosto che recarsi nei negozi fisici?
La digitalizzazione, infatti, non è un processo che interessa solo le aziende e i brand. Al contrario, questi ultimi hanno dovuto adattarsi ad un trend che ha ormai investito le nostre vite quotidiane. Oggi pretendiamo prestazioni sempre migliori, vogliamo avere tutto a portata di mano con il minimo sforzo.
Ecco quindi che anche la musica diventa intangibile, una library infinita di autori e canzoni accessibile a tutti e in qualsiasi momento attraverso piattaforme streaming e applicazioni per smartphone.
Leader indiscusso nel campo è certamente Spotify. Il punto di forza di questa applicazione, però, non risiede unicamente nel romantico amore per la musica, ma nella sua capacità di prevedere e modellare i gusti degli utenti.
La digitalizzazione, infatti, ha cambiato progressivamente il rapporto tra il brand e l’utente, tra l’azienda e il cliente, tra il mercato e il consumatore.
Gli operatori di Spotify, per esempio, hanno accesso a un’enorme quantità di dati che li informa su ciò che gli utenti ascoltano o vogliono ascoltare. Ciò vuol dire prevedere le esigenze degli utenti per dar loro ciò che vogliono ancor prima che sappiano di volerlo. Fidelizzazione e immediatezza: per permettere a chi possiede uno smartphone o un computer di accedere alla musica in qualsiasi momento e luogo.
Per citare Kjeld Kirk Kristiansen, erede del mondo Lego, qui si parla della possibilità di creare “un mondo senza limiti” dove l’unico limite è l’immaginazione.
Un drastico e definitivo passaggio al digitale, infine, lo ha dato la pandemia di Covid-19. Quasi tutta l’umanità è stata costretta a isolarsi tra quattro mura, ma il mondo doveva andare avanti. Di qui lo sforzo a reinventarsi e trovare nuovi strumenti di comunicazione e intrattenimento.
Non sorprende, in questo senso, il grande successo riscosso dalla piattaforma di videoconferenze Zoom. In un momento in cui miliardi di persone sono state costrette a lavorare da remoto, questa piattaforma è diventata uno strumento indispensabile per la vita di tutti giorni, registrando una crescite da record in un anno, il 2020, di profonda crisi globale.
La trasformazione digitale, dunque, è ormai un processo tanto necessario quanto naturale.
Certo, nessuno ci priverà (per ora) del piacere di sfogliare un libro o di acquistare un vinile, ma la conversione diventa indispensabile per le aziende che vogliono restare competitive sul mercato.
Officina38 può aiutarti ad operare questa trasformazione. Crediamo, infatti, nella possibilità di trovare soluzioni creative e smart per digitalizzare il vostro brand e la vostra azienda. Non vi resta che contattarci!