Officina38

4 anni di Officina38! Facciamo il punto con Anna Frandino

Produzione video, creatività e comunicazione digitale per la tua azienda

  4 anni di Officina38! In questa intervista ad Anna Frandino, founder & owner di Officina38, facciamo il punto sui primi anni dalla costituzione della nostra società. Nata informalmente una decina di anni fa, a Torino, come spazio condiviso fra professionisti specializzati in video production, Officina38 si costituisce come società il 18 gennaio 2019.  In questo articolo ripercorriamo i primi momenti importanti della nostra storia… e immaginiamo insieme quello che verrà!   Anna, dove nasce la passione per il mondo video?  Sono sempre stata attratta dal cinema, e fin da piccola l’aspetto che più mi ha affascinata è il backstage. Ero colpita da qualunque trasmissione tv che mostrasse il set, il dietro le quinte.  Il colpo di fulmine? A 12 anni, forse 13, quando con la famiglia ho visitato gli Universal Studios in California. Ero come impazzita! Di quelle giornate incredibili trascorse fra un’attrazione e l’altra, il ricordo che è rimasto più impresso nella mia memoria di bambina è quello degli operatori sul set con i walkie-talkie e gli auricolari. Vedevo le troupe che lavoravano sui diversi set, masse di persone in un moto continuo apparentemente “disordinato”, eppure tutto filava liscio, c’era evidentemente una linea che dava ordine in quel caos. Lo staff walkie-talkie e auricolari sembrava avere tutto sotto controllo!  Questo ricordo è riaffiorato qualche anno fa. Un’amica che lavora in Freeda mi ha coinvolta in un’intervista per parlare del mio percorso professionale e imprenditoriale. Mentre rispondevo alle domande, un flash ha riportato alla memoria quell’immagine, e ho capito in quel momento che il mio sogno di bambina era realizzato: il set oggi è il mio mondo, le nostre troupe “hanno gli auricolari” e tutta l’attrezzatura che serve per lavorare al meglio!   E così hai deciso di studiare cinema…  Sì, anche se non è stato immediato.  Mi sono laureata in International Business con un indirizzo in Entertainment Management: insomma, l’ho presa un po’ alla larga… Ma la verità è che questi studi mi hanno portata a una prima serie di esperienze di stage e contatti determinanti nel mio percorso. Proprio così ho conosciuto chi mi ha convinta a prendere il coraggio a due mani e fare domanda per entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Ed ecco una prima sliding door. Conseguito il diploma in Produzione, sono entrata a tutti gli effetti nel mondo del cinema, proprio dalla parte in cui volevo stare: il “dietro le quinte”.    …per poi prendere un’altra strada Ho lavorato in ambito cinematografico per alcuni anni, anche seguendo produzioni di rilievo.  Poi sono arrivate le Olimpiadi invernali a Torino. Era il 2006, e si è presentata l’occasione di lavorare con la troupe che seguiva l’hockey per la NBC: un team di cento persone – ero l’unica italiana – con cui mi sono trovata incredibilmente bene, al punto da sfiorare l’idea di seguirli negli US. Ho sperimentato un modo di lavorare diverso, con tempistiche molto più strette rispetto al cinema, perché dettate dai ritmi incalzanti della tv e della comunicazione. E mi è piaciuto.  L’esperienza successiva in Little Bull, la casa di produzione interna al gruppo Armando Testa, mi ha permesso di mettere ulteriormente a fuoco questa esigenza. Rispetto ai tempi dilatati con cui si lavora nel cinema, il mondo della pubblicità ha un dinamismo che sento più mio: ogni progetto ha un inizio e una fine vicini e ben delineati. Inoltre, nell’arco di due mesi si spazia fra contesti totalmente eterogenei, da un progetto all’altro. Tutto è veloce, e questo ti permette di dare il massimo in poco tempo. Quella era la mia nuova strada da seguire. Il mondo della pubblicità mi ha permesso di trovare una dimensione più “mia”, di conoscere professionisti di altissimo livello e di fare esperienze preziose: probabilmente non sarei qui, se non fossi passata attraverso quel settore.  Ma mi stava stretto il fatto di non essere il capo di me stessa. Così, quando è arrivato il momento, ho deciso di buttarmi in un’attività autonoma. Conoscevo un fotografo freelance, Davide Bellucca, con cui abbiamo iniziato a condividere uno spazio in San Salvario, quartiere storico di Torino a due passi dal centro. Si trovava in via Principe Tommaso 38.      Da qui il nome di Officina38? Esatto. 38 per il numero civico. ‘Officina’ perché dava un senso di concretezza in cui entrambi ci riconoscevamo, e anche perché, per chi come Davide ama lo spagnolo, la oficina è l’ufficio, il luogo di lavoro.  In principio era solo un nome informale, un modo per “etichettare” il nostro spazio condiviso, un riferimento per dare appuntamento ai nostri clienti. Poi il nome è diventato anche un logo, e un dominio web, e una volta acquistato il dominio tanto valeva creare un sito…  Intanto anche la nostra collaborazione si consolidava. Cresceva la richiesta di progetti video, così ho iniziato a coinvolgere sempre più un altro freelance, Marco Quattrocolo, professionista con grande esperienza nella post-produzione in ambito pubblicitario. Così hai iniziato a ragionare in termini di impresa? Sì. Quando ho proposto a Marco di avvicinarsi anche “fisicamente” a noi per facilitare la collaborazione su progetti condivisi, allora è nata anche l’esigenza di trovare uno spazio di lavoro più grande.  Un’altra sliding door. Allargarsi e ragionare come team su progetti condivisi: tutto portava a fare un salto. Una nuova scelta che in parte mi spaventava, ma che si faceva strada in modo sempre più chiaro dentro di me: ragionare non più come freelance, bensì come imprenditrice. Il 18 gennaio 2019 nasceva Officina38 srl. Il nome di uno spazio di lavoro era diventato un progetto imprenditoriale, e io ne ero titolare. Una grande responsabilità e una fantastica nuova avventura.   E che differenza fa? Prima di tutto, avere un’azienda ti permette di presentarti sul mercato in modo più professionale, o meglio, più strutturato. Ti consente di allargare gli orizzonti oltre i confini fisiologici dell’attività freelance. E ti stimola ancora di più a “fare bene”. È un’avventura altamente sfidante, e per realizzarla il primo fattore chiave è trovare le persone giuste per costruire il team. Per me