Officina38

Italia on the road

E’ estate. E’ tempo di meritate vacanze. Finalmente (diciamolo a voce bassa) ci è concesso di passare un periodo di spensieratezza e di libertà dopo più di un anno a dir poco “complicato”. Uno degli amori indiscussi che accomuna il team di Officina38 è sicuramente il viaggiare. Parliamo di viaggi avventurosi, intensi, a volte faticosi.  Ci piace tornare un po’ stanchi, rotti, affaticati ma con l’anima e la memoria colme di emozioni, tramonti, albe, luoghi, strade, montagne, mari, volti, cibi, odori e sapori. Forte di questa passione condivisa, Filippo ha deciso di raccontare la vacanza/avventura alternativa che insieme alla ragazza Francesca hanno pianificato e si preparano ad iniziare. Possa questa dare qualche spunto interessante che stuzzichi anche altri nel lanciarsi in un viaggio on-the-road. A te la parola Filippo! Cari lettori, partiamo dal concetto di on-the-road. E’ inutile che lo dica, tutti noi abbiamo passato un’anno e mezzo semi-rinchiusi tra i nostri appartamenti (per chi fortunato in casa con giardino) ed il supermercato. Le cose per fortuna stanno migliorando. Molti Italiani hanno però preferito evitarsi grattacapi e possibili quarantene optando per vacanze più circoscritte. Nel nostro caso, già nei mesi precedenti, quando tutta la situazione era ancora molto nebulosa, una sera parlando con Francesca, le ho fatto una proposta indecente: “Ma se comprassimo una macchina e la camperizzassimo un po’ per poi girare l’Italia”. Devo dire che ho la fortuna di avere una compagna che come me è molto sportiva sul modus viaggiandi, per cui le domande “Ma come asciugo i capelli e come vado al bagno”, sono emerse successivamente in fase organizzativa. Comunque tematiche non da minimizzare. Ma l’idea di un viaggio fuori dagli schemi ci ha galvanizzato moltissimo fin dall’inizio e ci ha dato un progetto personale a cui lavorare ed un obiettivo non così difficile da raggiungere (premetto che non siamo campeggiatori hardcore). Primo obiettivo trovare l’auto giusta ed accessoriarla per renderla confortevole quanto serve per viaggiare on-the-road per qualche settimana. LA RICERCA DELL’AUTOMOBILE (bypassando l’idea di comprare un camper!!) La considerazione più importante da fare quando si decide di camperizzare un’auto, è capire sei si sta comodamente sdraiati quando ci si dorme! Non deve essere per nulla piacevole dormire rannicchiati dopo una giornata passata ad esplorare città o a camminare in montagna. Ma noi abbiamo la fortuna di essere piccoli! Essendo alti circa 170 cm, abbiamo trovato la soluzione perfetta e abbiamo comprato da degli amici un Volkswagen Caddy. Per chi non lo conoscesse il VW Caddy nasce come veicolo commerciale per poi essere sviluppato come monovolume per famiglie con qualche accessorio e comfort in più. Il Caddy ha due versioni, quella standard con 4.50m di lunghezza e quella Maxi da 4.88m. Un dato importante da considerare a fronte del problema altezza di cui vi scrivevo in precedenza. Noi abbiamo acquistato la versione standard che nella guida di tutti i giorni risulta maneggevole come una normale automobile. LA CAMPERIZZAZIONE Qui il gioco comincia a farsi duro. La prima cosa a cui pensare è stata come organizzare la “stanza da letto”. Abbiamo fatto parecchie ricerche online e guardato tutorials oltre che aver chiesto consigli ad amici che avevano sperimentato progetti simili. Se foste curiosi ecco i  canali Instagram di un paio di amici appassionati: Birubi_the_delica e  Ninoilcaddino Quello che è emerso è che avevamo due alternative: 1: Potevamo spendere parecchi soldi per farci fare una piattaforma custom da una di quelle aziende specializzate nel genere, 2: Avremmo dovuto aguzzare ingegno e rimboccarci le maniche per imparare a lavorare il legno. Ma noi abbiamo trovato una terza soluzione! Grazie ad un progetto online di base letto scandinavo semplice e pratico che ci è piaciuto molto, abbiamo chiesto aiuto al padre ingegnere in pensione di Francesca che ha fatto un lavoro da 10 e lode in pochi giorni. Questo è il risultato: Una base composta da 2 cassoni cavi della lunghezza del bagagliaio con 2 piani in legno dell’altezza giusta per non toccare il soffitto al momento dell’apertura ed andare ad appoggiarsi sui sedili posteriori ribaltati in avanti. Totale lunghezza base letto: 170CM… PERFETTO! Ad una delle basi abbiamo aggiunto un cassetto con guide scorrevoli. Il cassetto conterrà tutte le vettovaglie, piatti, bicchieri, caffè, fornelletto da viaggio e quella piccola scorta di cibo nel caso decidessimo di cucinare. L’altro invece sarà utilizzato per contenere i bagagli più ingombranti come tavolo da campeggio, ombrellone, coperte, valigie. Inoltre come scompartimento extra storage abbiamo istallato anche un Box Baule Portatutto sul tetto dell’auto con una capacità di circa 400lt. Passiamo poi ad un’atro elemento fondamentale se si vuole poter dormire in auto. Il materasso. Anche qui con la ricerca ci si fa una cultura. Dopo lungo browsing sul web mi sono affidato ad un’azienda specializzata nella realizzazione di materassi per camper su misura di Torino I Fuorimisura e successivamente a due artigiani padre & figlio di Autoselleria Torino a cui ho chiesto di foderarmi il materasso. Di necessità virtù ora so tutto sullo spessore e densità di poliuretani espansi. Abbiamo optato per un materasso dello spessore di 8CM con memory e vi assicuro che è comodo quanto il materasso di casa. … e come non coinvolgere la mamma facendole preparare un set di lenzuola e federe su misura? Perché si può viaggiare on the road anche con stile. Seguono una serie infinita di accessori che uno dopo l’altro risultano indispensabili se si vuole essere in totale autonomia in questo tipo di viaggio. Dal frigorifero portatile termoelettrico, agli oscuranti per i finestrini, al tavolo pieghevole e sgabelli annessi in alluminio il limite è solo il vostro portafogli e lo spazio all’interno del vostro veicolo. Ma quello a cui proprio non potete fare a meno è la possibilità di farvi una doccia. Ci è stata consigliata la doccia portatile con batteria incorporata e ricarica USB della LIEBMAYA. Il motore elettrico da una parte risucchia acqua da una tanica (noi ne abbiamo acquistata una da 25lt) e dall’altra esce acqua dal soffione dotato di gancio e ventosa per appenderlo. La trovate su Amazon con tanto di mia review 4 stelle.

STORIE IN TENDENZA. I social media e le storie virali

social possono “cambiare il mondo”? Assolutamente sì, lo stanno già facendo in mille modi diversi, soprattutto se pensiamo alla capacità che i social media hanno di rendere le storie virali.    Per alcuni è un cambiamento positivo, per altri negativo.   Alcuni ritengono che i social rendano l’informazione più libera, ampia e immediata, altri li percepiscono come uno strumento di espressione pericoloso se usato con troppa leggerezza. Da qualsiasi punto di vista li si consideri, però, è indubbio che abbiano modificato il nostro modo di comunicare e, di conseguenza, anche quello di fare pubblicità. Proprio perché immediati e globali, i social media riescono a creare fenomeni virali a partire da un’idea spesso semplice. Così, in pochissimo tempo, è possibile scalare le classifiche e raggiungere le vette delle tendenze… come nel caso di Khaby Lame. Khaby Lame ha 21 anni ed è l’italiano più seguito al mondo. La sua carriera da Tiktoker è cominciata durante la quarantena del 2020, ma è a partire dall’aprile 2021 che il suo profilo è decollato superando i settantacinque milioni di follower su TikTok e i ventiquattro milioni su Instagram (più della Ferragni). Con i suoi reaction video Khaby fa un’operazione (apparentemente) semplice: prende quei video in cui le persone fanno cose strane in modo insensato – sbucciare un cetriolo con i denti, per esempio – e riproduce le stesse azioni in modo pratico e veloce – sbucciare un cetriolo con un pelapatate. Cosa c’è di esilarante in tutto ciò? La sua espressione e il gesto delle mani che chiude ogni clip. Ma come è possibile, vi starete chiedendo, che i suoi sketch siano diventati virali rendendolo una vera e propria icona del web e portandolo sui megaschermi di Tokyo? La risposta sta nel fatto che i suoi video sono muti: la comunicazione è affidata esclusivamente alle immagini e alla gestualità rendendolo, dunque, universalmente comprensibile. Non sorprende, con queste premesse, che sempre più spesso i grandi brand si adattino alle tendenze social del momento cavalcandone l’onda. Aperol lo ha fatto con il tormentone “Coincidence” di Handsome Dancer. Ispirandosi ai video che hanno inondato le home di TikTok, l’azienda ha lanciato l’iniziativa “Toghether We Can Dance” per raccogliere fondi a sostegno degli infermieri che hanno lavorato in prima linea durante l’emergenza Covid-19. La sfida era semplice: un’esibizione di 15 secondi sulle note di Wow, you can really dance. Per ogni video ricevuto Aperol ha donato cento euro alla causa. Alla fine dell’iniziativa il risultato è stato un’enorme coreografia virtuale in cui ballerini, professionisti e non, si scatenano sulla propria personalissima pista da ballo. Una meravigliosa iniziativa umanitaria, certo, ma non anche una trovata pubblicitaria creativa e divertente? Spesso, però, accade il contrario. Quanti brand sono nati sul web e hanno raggiunto il successo grazie alla spinta della fanbase? Uno degli esempi più interessanti in Italia è certamente quello di ClioMakeUp. Clio ha cominciato a pubblicare video su YouTube nel 2008 e, da allora, non ha più smesso. Chi, in Italia, non ha mai visto uno dei suoi tutorial o non ha mai sentito parlare di lei? Be’ sì… qualcuno ci sarà sicuramente, ma non è un caso se nel 2012 sia approdata anche sul piccolo schermo con un programma su Real Time e nel 2018 sia riuscita persino a creare la sua personale linea di cosmetici. Tutto questo grazie ad una fanbase che oggi conta, su Instagram, tre milioni di utenti con più di un milione di iscritti su YouTube. Ancora una volta, i tutorial sono semplici, alla portata di tutti e tutte e, soprattutto, costituiscono un concreto supporto per la vita quotidiana. Non diverso è il caso Benedetta Rossi, nuova guru della cucina fatta in casa, approdata sul piccolo schermo dopo un’impennata della sua fanbase. Come è arrivata a questo punto? La storia, in effetti, è abbastanza divertente. L’algoritmo ha voluto che i fan di Benedetta Parodi si siano imbattuti accidentalmente nelle video-ricette della Rossi. Il resto è storia… Benedetta Rossi ha in breve spodestato l’omonima nel cuore delle e degli italiani. Ma torniamo ai social media e alla loro capacità di trasformare delle semplici intuizioni in veri e propri “tsunami”. Il Fridays For Future sarebbe diventato un movimento globale se Greta Thunberg non avesse avuto uno smartphone a disposizione? Probabilmente sì, ma con tempi molto più dilatati rispetto a quanto è accaduto. Non possiamo certo dire che la tutela del nostro ecosistema sia diventata una tendenza… almeno, non nella vita reale, altrimenti la “causa sarebbe già vinta” e il Pianeta tornerebbe a respirare. Ma, di certo, la possibilità di condividere in tempo reale questa lotta l’ha resa più concreta e stringente, soprattutto tra le giovani generazioni per cui piattaforme come Instagram e TikTok non sono molto diverse da quelle che, fino ai primi anni duemila, erano le piazze. Greta Thunberg ha sempre trasmesso il suo messaggio in modo semplice, diretto e universalmente comprensibile.  Questi elementi sono stati decisivi per rendere una bambina con un’idea – e il coraggio di metterla in pratica – una vera e propria icona del nuovo millennio. Il mondo virtuale, infatti, è diventato un palcoscenico per chiunque voglia raccontare qualcosa di sè: che siano selfie o video professionali, 140 caratteri o 15 secondi. Ma quando qualcuno riesce a raccontare, attraverso la propria immagine, la realtà e la società che lo o la circondano, ecco che ha trovato la chiave! In poco tempo conquisterà il cuore di milioni di utenti. Sin dalle origini, infatti, l’essere umano ha sentito il bisogno di condividere storie, idee e stati d’animo, e con il tempo ha trovato modi sempre nuovi per farlo. Oggi i social media non solo rendono quest’azione più facile ed immediata ma, a tratti, addirittura necessaria. Quasi un’imposizione sociale che ci costringe a vivere su due piani: la realtà e il mondo virtuale. Dunque, magari non possiamo dire che i social media abbiano cambiato il mondo, ma di certo hanno cambiato il nostro modo di vivere e comunicare: se ciò sia positivo o negativo, potete deciderlo voi. Prima di fare la vostra scelta,

È Natale. È tempo di pubblicità

Natale è ormai alle porte e noi di Officina38 nella nostra deformazione professionale, abbiamo pensato di dedicare l’ultimo blog post di quest’anno agli spot pubblicitari natalizi, passati e presenti, che hanno maggiormente fatto breccia nell’immaginario collettivo, emozionando o facendo ridere: quei tormentoni che ricordiamo ancora oggi a vent’anni di distanza. Una lettura che speriamo possa accompagnarvi piacevolmente verso un periodo di relax, affetti, buon cibo e nuove pubblicità televisive 😊 La realizzazione di uno spot che celebri le festività natalizie ha certamente come fine ultimo quello di accrescere le proprie vendite e la brand awareness. Cogliendo l’occasione per augurare buone feste ai propri clienti, i brand possono affiancare ai propri valori quelli più tipicamente ‘natalizi’ al fine di esaltarli o valorizzare la propria immagine attraverso uno storytelling fortemente (e giustificatamente) emozionale. Qualunque sia l’obiettivo comunicativo, è fondamentale trovare un’idea fresca ed uno specifico target, per non ricadere nella banalità del “già visto”. Il potere dello storytelling. Immaginate un vostro competitor che realizza uno spot più efficace ma ad un decimo del vostro budget. Pensate non sia possibile? Hafod Hardware ci è riuscito! Una piccola ferramenta irlandese, quest’anno, nonostante l’esiguo budget ha ottenuto più successo di Sainsbury e John Lewis, i due più importanti magazzini inglesi noti per le loro costose  ed “elaborate” pubblicità natalizie. In termini generali, è indubbio che molti spot di Natale vengano realizzati da prestigiose agenzie pubblicitarie investendo ingenti somme di denaro; tuttavia, come appena visto, questo non è automaticamente garanzia di successo. Infatti, la vera sfida è quella creativa legata alla capacità di raccontare una storia nel modo giusto, conformemente ai propri obiettivi e alla propria brand identity, arrivando dritti al cuore e ai bisogni dei consumatori. Un altro rischio, sempre vivo nella comunicazione commerciale, è quello di sbagliare linguaggio e/o messaggio, venendo fraintesi: questo è precisamente quanto successo ad un’azienda newyorchese quotata in borsa, la Peloton, specializzata nella produzione e vendita di articoli sportivi. Nel suo spot pubblicitario The Gift That Gives Back (appositamente concepito per Natale) l’azienda mostra il miglioramento fisico di una donna, nell’arco di un anno (tra un Natale e l’altro), grazie al dono fattogli dal marito, ovvero una cyclette Peloton. Lo spot è stato tacciato di essere sessista ed offensivo, causando una perdita di circa 900 milioni di dollari all’azienda. L’evoluzione dello stile comunicativo. Parlando di spot pubblicitari, un altro interessante spunto di riflessione è quello relativo al linguaggio e allo stile comunicativo adottati nel corso degli anni. Per dirla in modo diverso, uno spot degli anni Ottanta ed uno del 2019 si assomigliano oppure no? Certamente la risposta è no. La differenza principale sta nel fatto che si è sempre più andati nella direzione dei cosiddetti branded content, ovvero contenuti editoriali creati ad hoc per raccontare e rappresentare i valori della marca. Per cercare di comprendere meglio questo concetto, possiamo prendere ad esempio il linguaggio di un brand conosciuto da tutti: Apple. Sin dal 1984, quando realizzò il suo primo e memorabile spot pubblicitario, l’azienda di Cupertino fece leva su alcuni valori e su uno specifico stile di vita, evitando di mostrare platealmente l’oggetto pubblicizzato (in quel caso specifico, il computer Macintosh non venne mostrato affatto). Quest’idea di raccontare la visione del mondo ed i valori propri di un brand o di un dato prodotto, prescindendo dal dover mostrare e descrivere i pregi e le caratteristiche del prodotto stesso, è sicuramente la soluzione ad oggi maggiormente praticata. In passato, tuttavia, non si era ancora affermata una sensibilità commerciale di questo tipo e, quindi, era comune presentare il prodotto al pubblico facendo ricorso a giochi di parole, umorismo e mini-narrazioni seriali. L’obiettivo in molti casi era quello di creare veri e propri tormentoni, slogan facilmente memorizzabili o storie capaci di far affezionare i consumatori. E possiamo dire che ancora oggi nel rivedere molte di quelle pubblicità, è difficile non lasciarsi sfuggire un sorriso! Gli spot di Natale che hanno fatto la storia. A conferma del fatto che lo storytelling pubblicitario è cambiato molto negli anni, vogliamo proporvi una nostra piccola selezione di spot natalizi, dagli anni Ottanta ad oggi. Ma, prima di questo, vogliamo fare un tuffo nel passato, tornando al 1931, per raccontarvi la storia che sta dietro l’illustrazione pubblicitaria della Coca-Cola di quell’anno. Nel 1931 la Coca Cola Company commissionò al disegnatore Haddon Sundblom delle illustrazioni pubblicitarie raffiguranti Babbo Natale. Sunblom, per ritrarre Babbo Natale, prese ispirazione da una poesia: “La visita di San Nicola” di Clement Clark Moore. Se prima di quell’anno Babbo Natale era raffigurato ora come un uomo alto e magro, ora come un elfo, con Sundblom la sua rappresentazione cambiò per sempre: il disegnatore concepì un’immagine piacevole, umana, tenera e paffuta di Santa Claus. Inoltre, contrariamente a ciò che si crede, Babbo Natale veniva ritratto con una veste rossa già nella poesia di Moore: dettaglio, questo, che Coca Cola non si fece sfuggire e che sfruttò sapientemente, legandolo per sempre al successo del proprio brand. L’obiettivo era chiaro: trasmettere un’immagine rassicurante, generosa e colorata – come quella di un nonno con i nipoti – per poi sovrapporla alla famigerata Coca Cola. Noi riteniamo che ci siano perfettamente riusciti, non credete? Ma adesso è finalmente giunto il momento di descrivere e mostrare qualche spot natalizio di successo, che ha conquistato un posto nel cuore e nella memoria di molti di noi. Erano i lontani anni Ottanta quando… quando l’azienda Bistefani, famosa soprattutto per i biscotti Krumiri, realizzò un celebre spot del suo panettone (per la precisione, era il 1985). Nello spot, l’attore Renzo Rinaldi, nel ruolo del burbero signor Bistefani, domanda infatti al suo socio pasticcere: “Ma chi sono io, Babbo Natale?”. Una battuta divenuta così famosa che, ancora oggi, è viva nella memoria di molte persone. Rimanendo negli anni Ottanta, è quasi un dovere fare riferimento ad uno dei molti spot Coca-Cola, anche in questo caso proprio quello del 1985. Vediamo infatti un gruppo di persone che si riunisce e canta insieme, condividendo emozioni positive, come quando si pranza o cena in compagnia, magari sorseggiando proprio della Coca-Cola. Un’altra azienda le

La musica nel cinema

La musica nel cinema ricopre un ruolo fondamentale… approfondiamo insieme l’argomento!  “Aspettate un momento, aspettate un momento, non avete ancora sentito niente” Il cantate di jazz (1927) di Alan Crosland prodotto dalla Warner Bros. Musica, dialoghi e grandi effetti sonori speciali: ormai è scontato andare al cinema e aspettarsi questo. Tanto scontato che spesso non si fa nemmeno caso alla loro presenza! Certo non è sempre stato così. All’inizio dell’avvento del sonoro sentire voci e suoni associati a quelle immagini sullo schermo era stupefacente, poi man mano che ci si abituava all’innovazione si aggiungeva qualche perfezionamento per rendere sempre spettacolare la visione del film e anche per rendere più espressivo il rapporto con le immagini. Quello che è certo è che da quel momento la musica ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella costruzione del film. Gli inizi All’inizio della storia del cinema la musica d’accompagnamento era fortemente stereotipata e aveva un intento didascalico: ogni situazione era associata a un determinato tipo di musica così il pubblico era agevolato nella comprensione del film. Con la progressiva evoluzione del cinema si iniziava a capire l’importanza che la musica assumeva all’interno di un film e i registi cominciarono a commissionare le musiche dei loro film a compositori affermati con l’intento di nobilitare il cinema. La colonna sonora Si assiste ad un vero e proprio rilancio dello spettacolo cinematografico: gli spettatori apprezzano così tanto le possibilità del nuovo mezzo, che tutti vogliono assistere alla magia creata dal suono. Sentire parlare i divi, associare i loro volti alle voci, emozionarsi con musiche di accompagnamento diventa realtà. Nascono quei professionisti che si occupano della parte sonora del film: doppiatori, compositori, fonici e montatori del suono. Se agli inizi molti cineasti prediligono una musica diegetica, ovvero una musica interna alla narrazione, si passa poi, nel giro di pochi anni, ad una musica d’accompagnamento, esterna alla storia, che descrivesse ambienti e personaggi e non distraesse il pubblico dalle immagini. Perché la colonna sonora non è composta solo dalla musica, ma prevede anche voci, rumori, suoni che non devono essere surclassati. E’ fondamentale non trascurare il silenzio. Le funzioni della musica nel film Certamente la musica deve essere sempre funzionale alle immagini. A seconda di come viene utilizzata all’interno del film, può regalare effetti diversi: ad esempio può collegare due sequenze iniziando in una sequenza e proseguendo nella successiva, creando così un nesso narrativo; al contrario può rendere evidente lo stacco tra le sequenze cambiando da una all’altra. Queste sono le funzioni principali della colonna sonora in un film: sottolinea con discrezione ciò che le immagini dicono, esprimendo musicalmente il ritmo e i movimenti delle scene; esprime i sentimenti dei personaggi con l’intento di far vivere allo spettatore le stesse emozioni del protagonista; contestualizza l’immagine fornendo ulteriori indizi sul luogo e sul tempo in cui si svolge la scena; definisce il carattere di un personaggio; anticipa gli avvenimenti successivi facendo prevedere allo spettatore quello che succederà di lì a poco; prolunga l’azione precedente, in modo da consentire allo spettatore di continuare ad assaporare gioie e malinconie; rievoca qualcosa che appartiene al passato o a un luogo lontano; contrasta le immagini evocando situazioni o sentimenti dissonanti; collega diverse scene, apparentemente separate l’una dall’altra. Le colonne sonore che hanno fatto la storia del cinema… e quella di Officina38 Ci sono pellicole che sono rimaste nel cuore anche grazie alle loro musiche. Molti capolavori del cinema non avrebbero avuto lo stesso impatto se non fossero stati accompagnati da musiche in grado di innescare forti emozioni e alti livelli di empatia con i personaggi, con la storia, con i temi trattati. Canzoni che sono diventate un tutt’uno con il film. Ce ne sarebbero decine da elencare.  Vi proponiamo, per necessità di sintesi, quelle che ci sono rimaste più impresse. Non ce ne vogliate, è stato molto difficile sceglierne solo alcune. Abbiamo quindi deciso di regalarvi un album da ascoltare su Spotify. Ci auguriamo che questa nostra selezione rievochi in voi le emozioni che avete provato nel guardare questi film che come noi avete amato, che vi hanno fatto ridere, piangere o lasciato senza parole. ENJOY!!  

53° Super Bowl

Ogni anno il Super Bowl è l’evento sportivo più seguito al mondo.   urante questo evento sportivo gli spazi pubblicitari sono ovviamente molto ambiti dai grandi brand, che arrivano a pagare milioni di dollari per 30″. Per questo motivo, realizzano campagne pubblicitarie ad hoc, creando così un’aspettativa anche nel pubblico: il Super Bowl è la giornata in cui non solo si tollera l’intervallo pubblicitario, ma è il momento in cui più si celebra l’industria pubblicitaria. Abbiamo ovviamente guardato tutti gli spot presentati, scegliendo il nostro preferito di quest’anno: lo spot della Birra Stella Artois. Il film ha come protagonisti i personaggi di Carrie Bradshaw, di Sex and the City, e di “The Dude“, del Grande Leboswki. Oltre al twist narrativo dello spot, quello che ci ha convinti, è la direzione che il brand ha voluto prendere: la celebrazione degli anni 90, attraverso uno spot “nostalgia” che va a parlare al target che negli anni 90 aveva 20-30 anni e che ora rappresenta il pubblico con il potere di acquisto più forte per il loro prodotto. I due personaggi iconici sono stati coinvolti per rafforzare anche il messaggio di impegno sociale, preso dal brand tramite la campagna “Pour it forward” destinata ad aumentare l’accesso all’acqua potabile nei Paesi in via di sviluppo. La campagna è promossa in partnership con Water.org. Lo spot è stato lanciato qualche giorno prima del Super Bowl da un tweet di Jeff Bridges, senza svelare che fosse uno spot, ragione per cui tutti i fan dello storico film si erano illusi in un sequel che continua ad essere richiesto dal pubblico, ma che neanche questa volta sembra essere in cantiere.     Questo spot ci è piaciuto perché oltre a far tornare sullo schermo due dei nostri personaggi preferiti di sempre che promuovono una delle nostre bevande preferite, la birra(!), ha anche un valore sociale: quando la pubblicità è divertente e utile!   Per guardare lo spot clicca qui: Enjoy!!